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work in progress [1]

Qualche giorno fa sono stata in riunione con il prof e mi ha detto “ora inizia a scrivere, i dati li abbiamo tutti e direi che è ora e tempo di iniziare a dar forma a questo articolo!” Non esattamente con queste parole ma il concetto è stato esattamente questo!
Bene.
Giorno 1: scena da far west con la palla di sterpaglie (->i miei pensieri) che passa la strada deserta in un villaggio fantasma!
Giorno 2: proviamo a usare la vecchia carta e penna e a buttare giù cosa deve essere scritto in questo e quell’altro capitolo. Va un po’ meglio, le idee si schiariscono.
Giorni seguenti: riesco a scrivere cose. Non spettacolari ma pian piano (troppo piano) le idee prendono forma e arrivo alla parte in cui posso finalmente descrivere ciò che ho fatto. Quindi è più facile perché ho io il comando, decido io e non devo cercare fonti per ogni parola che scrivo…
Oggi: sistemo e aggiungo qualcosina ad un articolo che è ancora molto abbozzato e arrivo al punto in cui mi esce una parolaccia. Sarà che sono stanca, poco concentrata o chissà ma ad un certo punto stavo scrivendo che ho fatto la PCA (quella analisi che ho cercato di fare per un anno, quella per la quale ho cercato software alternativi perché i risultati che dava non erano quelli che servivano…) e…
“come ca%£&%io si inserisce nello studio la mia PCA?” cioè, più o meno “a cosa cavolo serve adesso che abbiamo altri grafici, la PCA sulla quale ho sputato sangue e neuroni per MESI????”
Quindi al momento sono stranita e abbastanza shoccata dalla cosa! Non tanto per la parolaccia che quelle me ne dico da sola anche di peggiori, ma da sto dubbio… Ci penso e mi viene solo l’immagine di un gabinetto all’americana a cui è stato tirato lo sciacquone! [gabinetto all’americana è quel gabinetto con mezzo metro di acqua dentro che quando la tiri sembra dover allagare tutto!]